L’inizio della fine dell’Acr Messina
Quando, nel gennaio scorso, tra selfie, abbracci e grida di giubilo Doudou Cissè e i vertici dell’AAD Invest Group sono stati salutati come salvatori della patria calcistica e nuovi eroi dell’Acr Messina, evidentemente era in corso un buco nero gigantesco su tutti i motori di ricerca. Oppure stavano tutti smaltendo i postumi del brindisi di Capodanno. Non si spiega altrimenti perché un’amnesia collettiva abbia cancellato quanto avvenuto meno di un mese prima in Belgio, dove la stessa società aveva acquistato il KMK Deinze (squadra nata nel 1926 e che militava nella serie B), portandola al fallimento tra mancati pagamenti, scioperi dei calciatori, zero euro e tanti proclami.
Retrocessi, falliti e indebitati
Anche il più boomer degli interessati cliccando il nome del fondo lussemburghese e di Cissè avrebbe scoperto che non brillava per oculatezza di gestione. L’ultima puntata dell’Acr Messina ha alcuni punti in comune con quanto accaduto in Belgio, se non altro quanto a protagonisti. Oggi ci ritroviamo sul baratro. Assistiamo alla morte dell’Acr (per la quarta volta in 32 anni), senza neanche la possibilità di qualcuno che dica “Lazzaro alzati e cammina”. Retrocessi sul campo in serie D, di fatto falliti sotto il profilo societario (si attende solo il de profundis del Tribunale dal 10 giugno), sommersi di debiti pesantissimi, con 14 punti di penalizzazione qualora dovessimo disputare la prossima stagione in serie D. Nessun imprenditore che abbia testa sulle spalle potrebbe mai imbarcarsi in un treno che sta andando a sbattere contro un muro, sborsando subito quanto meno 800 mila euro (tra emolumenti e contributi) per tentare un’operazione che consenta l’iscrizione al campionato di D e che richiederebbe un esborso triplo (se va bene) nelle fasi successive compresa quella di costruire una squadra. Inutile sognare nel miracolo dello sceicco arabo o del miliardario americano. Perchè mai uno sceicco dovrebbe investire a Messina che non ha neanche i pozzi di petrolio (anche se ci sono buche in strada abbastanza profonde da indurre nell’equivoco)?
La favola dell’AAD e la fine dell’Acr Messina
Non si può dare la colpa a chi, oggi da imprenditore, non se la sente di gettare un patrimonio dalla finestra, perché di questo si tratta. Se mai, la domanda che tutti ci facciamo è come abbia potuto un imprenditore con una storia importante alle spalle come Pietro Sciotto, credere nella favola dell’AAD Invest Group e crederci talmente tanto da non pretendere acconti, da non ricorrere alla clausola rescissoria e non insospettirsi rispetto a quanto accaduto in Belgio poche ore prima.
Anche il più sprovveduto utente di subito.it prima di vendere la vecchia sedia a dondolo della nonna che nessuno in casa usa più verifica che l’acquirente abbia un minimo di credibilità.
I caduti dal pero
Che tanti adesso, si straccino le vesti non è solo tardivo, ma un tantinello ipocrita ed un falso alibi che fa comodo a chi, anche negli anni passati non ha mosso un dito. La responsabilità principe è di Pietro Sciotto, ma il treno in corsa lo hanno visto passare in tanti e da tempo e nessuno ha provato a intervenire prima. Troppo facile adesso il “dagli all’untore” (ovvero la società che ha dato il colpo di grazia). L’amministrazione comunale ha fatto (o non ha fatto) la sua parte né prima né dopo. Senza dubbio il fatto che il presidente dell’Acr Messina sia il fratello del deputato regionale di Sud chiama Nord Matteo Sciotto ha influito in gran parte delle scelte (e delle non scelte) dell’amministrazione, dei silenzi e degli interventi tardivi, del disinteresse e dell’interesse last minute e solo su sollecitazione della piazza.
La fine dell’Acr Messina non è di adesso. Adesso il Tribunale staccherà la spina, ma la fine è iniziata molto tempo prima.
Sorvoliamo anche sulle concitate ultime fasi quando quello che era chiaro sin da gennaio, e cioè che questa società era il “becchino” dell’ Acr è diventato palese. Le improvvisate collette, gli appelli, tutto enormemente tardivo ed anche la prova, che non è mai scoccata la scintilla. Chi mi piace di meno, in questa storia, sono i caduti dal pero, soprattutto se da quel pero si vedeva benissimo il panorama della vicenda.
Gli innamorati
Poi ci sono gli innamorati del Messina. Quelli con le farfalle nello stomaco e la rabbia che aumentava di giorno in giorno, quelli che hanno protestato davanti al municipio per svegliare la Bella addormentata nel bosco, quelli che lo sapevano che finiva così ma non avevano né i mezzi economici né gli strumenti per cambiare le cose, per fare qualcosa. Perchè gli innamorati sono così, non hanno mai i piedi per terra e passano le giornate a guardare le fotografie dei bei tempi quando andare la domenica “al campo” era gioia indipendentemente dal risultato e dal posto in classifica e la settimana passava in fretta perché la gioia non usa l’orologio.
Gli innamorati bambini cresciuti con i papà che urlavano i cori negli spalti ed in tribuna adesso diventati adulti ci hanno provato lo stesso a trasmettere questa febbre ai loro figli e figlie, nonostante tutto e tutti. Nonostante i responsabili, gli indifferenti, nonostante gli ignavi e quelli che ci godono (e a Messina sono tanti) quando gli altri falliscono. Nonostante i caduti dal pero, i gatti e le volpi e nonostante gli avvoltoi che nel mondo del calcio sono sempre pronti a dividersi le spoglie di quel che resta.
Sono gli innamorati gli unici con il cuore spezzato e una piccola luce di speranza.
Ma gli innamorati sanno, gliel’ha insegnato Ligabue, che“l’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?”.
L’Acr Messina è morto. Il Messina no.
A me gli innamorati piacciono, anche quando hanno il cuore spezzato. Perchè è da quei pezzettini di cuore che inizia la nuova vita (non so da dove, dall’eccellenza o da una diversa soluzione, ma inizia sempre).


