L’allergia alle quote rosa
“Wilma dammi la clava” chiedeva Fred Flinstone alla moglie, pronto a usarla per difendere la famiglia dall’invasione di insetti o da pericoli dell’epoca cavernicola.
Il tormentone tutto italiano del cartoon rende l’idea del ruolo che gran parte dei politici siciliani vorrebbero affidare alle colleghe: leggiadre aiutanti che delegano il potere decisionale. Per il resto devono accontentarsi di assessorati alle pari opportunità e affini (non sia mai gli affidi l’assessorato all’economia chissà che guai combinano). Soprattutto non devono superare i confini stabiliti.
A parole sono tutti per la preferenza di genere, le quote rosa, l’ampliamento nei ruoli di vertice. Ma quando si tratta di passare ai fatti diventano paonazzi, balbettano, e solo quando sono costretti a ingoiare il rospo (anzi la rospa) lo fanno (e per lo più provano ad attingere nel variegato mondo parentale e nella cerchia degli amici).
Adesso succede che dopo averne parlato per mesi e dopo l’ok in Commissione, l’emendamento al ddl sulle norme per gli Enti locali che prevede che nessun genere possa essere rappresentato in misura minore al 40% nelle giunte comunali, il cui esame dell’Ars era fissato per martedì 10 giugno, slitti. In teoria la norma, che gode di un sostegno trasversale per adeguare la Sicilia al resto d’Italia, dovrebbe avere i voti della maggioranza. Ma qui casca l’asino dei Flinstones come ben sanno le deputate Marianna Caronia, Roberta Schillaci, Valentina Chinnici ed Ersilia Saverino che da tempo avvertono sul terreno minato di un’Assemblea restia sull’argomento.
Oltre ai rischi del voto segreto, che segnerebbe il destino della norma, ci sono ipotesi di spacchettamento del ddl in modo tale da votare subito gli emendamenti che più stanno a cuore ai deputati (l’introduzione della figura del consigliere supplente e del terzo mandato per i sindaci dei comuni fino a 15 mila abitanti) e far slittare ulteriormente quello sulle quote rosa. Non è sbagliato dire che se ne potrebbe parlare sotto il solleone d’agosto, magari quando metà dell’Aula sarà in vacanza.
Oggi nell’isola per garantire la presenza di genere in una giunta comunale, basta una donna (cosa che accadde nella precedente legislatura Musumeci per un periodo). L’emendamento prevede che, in caso di approvazione, tutte le giunte dei comuni più grandi dovrebbero adeguarsi entro 90 giorni, mentre per quelli fino a 15 mila abitanti l’adeguamento scatterebbe alla prossima tornata elettorale. Uno spauracchio non da poco per la classe politica siciliana che spesso e volentieri accende il cero a “San Cu Fu” protettore del voto segreto che toglie da tutti gli impacci.
Sono in pochissimi ad ammetterlo e mai pubblicamente, la sola idea di avere quasi metà della giunta al femminile, fa venire l’orticaria. Tra pregiudizi del pleistocene e il solito alibi “non si trovano donne che vogliono impegnarsi in politica” e lo studio dell’albero genealogico allargato per iniziare a reclutare assessore disponibili ad andare a prendere la clava e ad accettare indicazioni sul come e sul quando, questo adeguamento tra la Sicilia e l’Italia è visto come il fumo negli occhi.
Perchè il concetto di base è: perdiamo poltrone. E se si perdono le poltrone si perde il potere.
Il verbo perdere indica privazione di qualcosa, ed è del tutto attinente alla concezione possessiva del potere, che “appartiene” a qualcuno, come la “roba” di verghiana memoria.
Già immagino, in caso di approvazione della norma, i vertici dei partiti alle prese con la rimodulazione di una qualsiasi giunta comunale, riunioni fiume con gente sull’orlo di una crisi di nervi, costretti a sostituire gli uomini con le donne “per colpa dell’Ars che nunn’avia cuffari che rompere i cabasisi a nui”.
E per di più non una o due, ma addirittura il 40%. Perchè in fondo loro si sentono così, insostituibili.
Che ci fa una donna con la delega ai lavori pubblici? Ai trasporti? Al bilancio? Ed è inutile obiettare che magari in questo momento l’assessore in carica non è una cima e ha problemi pure a far funzionare il trenino elettrico del figlio, perché per loro il più scarso, il meno competente, il meno specializzato, il meno tutto sarà sempre “più” di una donna.
E se magari in Sicilia non sono ancora tantissime, soprattutto nelle realtà più piccole, non è perché non vogliono fare politica o amministrare, ma semplicemente perché non è stata fatta crescere una classe dirigente in base alla parità di genere.
Il governo nazionale è guidato da una donna, il maggior partito d’opposizione nazionale è guidato da una donna. Ma questo non è accaduto “a cascata” e non ha superato lo Stretto di Messina. In Sicilia il numero delle donne che guidano un comune si conta sulle dita di una mano, forse due. Messina non ha mai avuto una sindaca. Già i sindaci faticano a inserire una o due donne in giunta, figuriamoci ad arrivare al 40%. I partiti useranno il gioco dello stecchino più corto per scegliere il malcapitato “e per forza a noi tocca?”.
I dinosauri si sono estinti, compresi quelli che accompagnavano i Flinstones al lavoro. Speriamo che San Cu Fu non ostacoli l’evoluzione in Sicilia.


